Lo stimo moltissimo. Jack Jaselli è una persona vera, professionalmente parlando è un artista completo, uno di quelli che ha seriamente qualcosa da dire e sa bene come farlo. Puoi parlarci di moda, di musica, di stile, di filosofia e avrà sempre la risposta pronta, una cultura generale pazzesca, ma anche e soprattuto una positività, umiltà e gentilezza disarmanti. L’ho conosciuto personalmente durante il Summer of music tour – Negramaro Contest, che ha meritatamente vinto, esibendosi prima dei concerti di San Siro e Olimpico della band. Me lo ricordo in giro per i camerini e per il backstage, con il sorriso e l’emozione difficili da contenere, con quella sua positività coinvolgente, che riusciva a trasmettere anche con uno sguardo. Basta, mi fermo qui con le presentazioni, aggiungo solo che questa è una delle interviste di Style Stories che mi ha dato più soddisfazione, Jack è stato in grado di rendere “piacevole e leggera” anche una riflessione sulla moda e la filosofia, insomma…buona lettura!
Jack Jaselli
Cantante, chitarrista e autore nato a Milano e cresciuto girando il mondo. Nei suoi viaggi e spostamenti ha svolto i lavori più disparati, dal volontario in un centro di biologia marina al riparatore di resistenze. Ha lavorato come speaker per una radio nazionale e ottenuto una laurea con lode in filosofia. Senza l’appoggio di alcuna casa discografica, management o agenzia di booking, Jack ha registrato il suo primo disco “It’s Gonna Be Rude, Funky, Hard” in una cantina, promuovendolo dal vivo con più di 80 date l’anno ed entrando con ben tre singoli nella classifica “Ear One” dei brani più trasmessi dalle radio. Jack ha suonato al fianco di numerosi artisti (Ben Harper, Gavin Degraw, Fink, Lewis Floyd Henry, The Heavy, Giusy Ferreri, Alberto Camerini per citarne alcuni) calcando al contempo i palchi storici della musica indipendente italiana. Da sempre interessato alle contaminazioni con la musica elettronica, Jack ha collaborato con artisti e produttori come Dj Aladyn e Pink Is Punk. Dal vivo Jack è accompagnato dai The Vibes, una band e una famiglia formata da Nik Taccori, Fabrizio Friggione, Max Elli e Paolo Legramandi. “I Need The Sea Beacuse It Teaches Me” è l’EP acustico da cui è tratta “I’ll Call You”. (Bio – Mtv New Generation)
A ruota libera: consigliaci subito qualche brand!
Moda del passato: periodo storico in cui avresti voluto vivere e per indossare cosa?
Mi sono divertito molto negli anni ’90 a indossare vecchi pullover oversize e sdruciti dei miei genitori e dei miei nonni rimanendo in perfetto stile grunge. Se no ti direi l’inghilterra di fine ‘800, quella dei dandy, di Lord Brummell e di Sherlock Holmes: cilindro, frac, fazzoletti da collo, redingote, assenzio e vicoli bui e pericolosi…
Le tue icone?
Da Hendirx a Marley, Da Marvin Gaye ai Beatles molte delle mie icone sono i grandi maestri che hanno costruito la storia della musica. Sono persone che hanno lasciato una traccia enorme, un solco profondo. E parlando di stile, spesso la loro immensa personalità musicale si traduceva in una particolarità estetica. Così come puoi riconoscere Jimi da una sola nota di chitarra hai simultaneamente presente come fosse la sua immagine quando si presentava in scena. Forse non si tratta nemmeno di moda ma di un lato estetico che esprime, caratterizza e procura forma alla sostanza…i maglioni a righe di Kurt Cobain, l’anello a forma di teschio di Keith Richards, il guanto di Michael Jackson. Feticci che entrano a far parte di un mito, ma qui si potrebbero aprire parentesi sterminate. Uno dei capisaldi del mio cuore e della mia storia è Jeff Buckley, che mi ha fatto capire fino a che punto si possa mettere l’anima a nudo in una canzone, fino a che punto una voce e una chitarra possano entrare in contatto con essa, e che la musica ha davvero il potere di salvare una vita.
E ora arrivano le domande difficili, non vedevo l’ora di poter parlare con te di Moda e Filosofia!
Sei d’accordo?
Sono d’accordo. Ma capisco bene cosa possa portare al pericolo della frivolezza. Il vestito come da definizione deve “vestire” qualcosa o meglio qualcuno. Spesso quella che definiamo la ricerca incessante del nostro essere, di questi tempi si inceppa e rischia di limitarsi all’incessante ricerca del nostro apparire. E il rischio è che “sotto il vestito…niente”! E’ un problema relativo a tantissimi ambiti del nostro vivere. Il fatto che la moda sia un fenomeno sociale permette di capire attraverso le sue forme anche la sostanza della società in cui viviamo, con i suoi pregi e i suoi difetti. E’ difficile che chi ci si dedica per lavoro e per vocazione la viva in modo superficiale. Anzi, ritengo che in molti casi si avvicini incredibilmente all’arte. Il rischio, se poi di rischio si può parlare è per chi la fruisce e chi non avendo consapevolezza in un certo senso la subisce.
Nel 2013, quale di queste teorie è ancora valida? Possiamo ancora parlare di Classi? Possiamo ancora parlare di Imitazione?
Linkami un pezzo che faccia da colonna sonora a chi ti legge!