La settimana della moda di Parigi per la p/e 2017 è stata anzitutto il banco di prova per molti creativi che hanno preso le redini di storiche maison, rimaste orfane in questi ultimi due anni di dipartite e cambi di poltrone. L’autorevolezza delle scelte e la capacità di esprimere un punto di vista nuovo e personale ma coerente con la storia è la sfida con cui i designers si sono dovuti misurare.
Valentino
Da Valentino Pierpaolo Piccioli è chiamato a reggere da solo i codici di un linguaggio che da dialogo è diventato monologo. Orfano della compagna professionale di una vita, lo stilista propone per la p/e 2017 una collezione sovversiva. Questo monologo sbaraglia tutta la concorrenza. L’impronta del designer diventa qui fulgidamente chiara. Pierpaolo non è uno dei due ma sa essere lui stesso una voce autorevole. La collezione prende ispirazione dalle opere di Hieronymus Bosch, artista idealmente padre del passaggio artistico tra Medioevo e Rinascimento, riscritte, ridisegnate letteralmente da Zandra Rhodes, emblema della cultura punk inglese. Magistrale il lavoro di ricerca sui tessuti: broccati e jacquard presi a prestito dalla storica tessitoria Bevilacqua che invadono cappottini e pantaloni dall’orlo non rifinito. Il défilé, scandito dalle pianelle e dagli abiti a tunica che si tingono di colori avvolgenti e pieni, è un racconto punk e quindi imperfetto di una transizione. Pierpaolo riesce in un’opera non facile: quella di consolidare una formula di successo iniettando della sua personalità il nuovo corso che lo vede unico protagonista. Se possibile il suo Valentino, che suo (in parte) era anche nelle passate stagioni, riesce ad essere la vera novità, la ventata di aria fresca di questa settimana della moda parigina. È un trionfo della personalità in cui autorialità ed autorevolezza emergono con subdola sovversività. Ma con garbo.
Saint Laurent
Anthony Vaccarello ha allestito una presentazione-dichiarazione per il suo nuovo (Yves) Saint Laurent. All’ingresso dello show una gru, tinta dei colori della bandiera francese, reca il logo storico della casa di moda facendosi simulacro. Immergersi negli archivi e saperli reinterpretate, dopo la rivoluzione Slimane, era l’affare su cui questo nuovo corso doveva puntare. Vaccarello è uno di quei designer che ha saputo ritagliarsi uno spazio ben chiaro nel mercato con la sua linea omonima. Pur tenendo fede ai suoi codici, la collezione p/e 2017 per Saint Laurent risulta essere un’infilata ben orchestrata di tributi a Yves (il designer), con tanto di ritorno alla compianta Y. Gli abiti sono infusi di sex appeal ma le proporzioni omaggiano la couture. Gli scolli a cuore, le spalle ampie, la pelle come leitmotiv, le pump con il logo e i gioielli al limite del buon gusto eppure così affascinanti. Questo nuovo Saint laurent è una prima prova e come tale va giudicata; ma tutto sembra fuorché un esordio timido. Binx Walton che incede sulla passerella con il seno scoperto è una vera e propria dichiarazione di forza. I detrattori di oggi non sono differenti da quelli che, qualche anno fa, all’arrivo di Hedi Slimane, si scandalizzarono al grido di “Ain’t Laurent without Yves”. La Yves è tornata, il glamour anche e la prova è very Vaccarello. Anja Rubik, modella ambasciatrice di questa rivoluzione in casa YSL, è esattamente la musa sulla quale immaginare ciascuno dei pezzi di questa collezione. Più che anacronismo pare essere consapevolezza della direzione nella quale la maison vuole andare.
Christian Dior
Maria Grazia Chiuri chez Christian Dior. Prima donna ad assumere il ruolo di timoniere dopo il succedersi di designer uomini: da Christian Dior a Ferrè, da Galliano a Marc Bohan fino a Raf Simons, la stilista ha insistito su almeno due temi diventati fil rouge e ossessione: femminismo e tributo. Questa prova parte dalla nozione di femminismo come femminilità. O viceversa. Il tema della scherma apre la collezione per la p/e 2017. Non si pensi ad una citazione letterale piuttosto ad una dichiarazione d’intenti: alle giacche avvitate e con imbottitura si accompagnano le gonne in tulle see-through. Per comprendere veramente cosa la stilista ci stia raccontando dobbiamo attendere la t-shirt, già feticcio: “We should all be feminist” ovvero un invito al femminismo nella sua forma più attuale e meno reazionaria. Fatto di delicatezza, di consapevolezza più che di ostentazione di un manifesto. L’immersione negli archivi della maison è l’occasione per un tributo senza citazioni ridondanti a chi ha fatto la storia del marchio. Non mancano il new look, l’attitudine couture e nemmeno l’epoca Galliano con la riproposizione dell’iconico J’Ad(i)or che è però disadorno, bianco e nero e compare sulle t-shirts, sulle fettucce che sorreggono gli abiti, nelle fodere in bella vista delle gonne in tulle, nei lacci delle décollétes da signorina bon ton. Molto di quanto visto in passerella cita il passato della designer, tuttavia la maestria di Maria Grazia Chiuri va ricercata nella capacità di declinare se stessa e la maison Dior in un unicum nuovo, a tratti punk e decostruttivista. Questa prova ha in sé della timidezza, forse addirittura del riguardo, ma è la promessa di un nuovo corso. La promessa di una Dio(R)Evolution.
Pushed by Martino Carrera