Fino al 2009, anno della sua morte, di lei si sapeva pochissimo se non che era una delle tante babysitter alle dipendenze delle famiglie della upper class di Chicago e New York City. Ha dedicato tutta la sua vita alla cura e alla crescita dei bambini, è andata in pensione e si è spenta nella sua casa a 83 anni. Un’esistenza apparentemente lineare con un’altra enorme passione che ha rivelato al mondo il suo talento: la fotografia. Vivian Maier (1926-2009) ha dato una nuova definizione al genere street photography e oggi le sue opere fanno tappa nelle gallerie d’arte del globo. L’ultima in ordine di tempo si chiama “Vivian Maier: Nelle sue mani”, all’Arengario di Monza, visitabile dall’8 ottobre all’8 gennaio. Dopo l’esposizione dello scorso gennaio alla Fondazione Forma per la fotografia a Milano, un’altra città lombarda seleziona oltre 100 foto tra le migliaia che ci ha lasciato in eredità, molte delle quali finora mai esposte in Italia.
Dalle foto in bianco e nero a quelle a colori, passando per le pellicole 8mm, Vivian Maier indaga le vite che passano e si muovono intorno a lei con un occhio unico e uno spirito curioso.
Nata a New York da madre francese e padre austriaco, Vivian trascorre parte della sua giovinezza in Francia, dove comincia a scattare le prime fotografie utilizzando una modesta Kodak Brownie. Nel 1951 torna a vivere negli Stati Uniti e inizia a lavorare come tata per diverse famiglie. Una professione che manterrà per tutta la vita e che, a causa dell’instabilità economica e abitativa, condizionerà alcune scelte importanti della sua produzione fotografica. Fotografa per vocazione, Vivian non esce mai di casa senza la macchina fotografica al collo e scatta compulsivamente con la sua Rolleiflex accumulando una quantità di rullini così numerosa da non riuscire a svilupparli tutti.
Tra la fine degli anni Novanta e i primi anni del nuovo millennio, cercando di sopravvivere, senza fissa dimora e in gravi difficoltà economiche, Vivian vede i suoi negativi andare all’asta a causa di un mancato pagamento alla compagnia dove li aveva immagazzinati. Parte del materiale viene acquistato nel 2007 da John Maloof, un agente immobiliare, che, affascinato da questa misteriosa fotografa, inizia a cercare i suoi lavori e indagare sulla sua vita, realizzando a un archivio di oltre 120.000 negativi. Un tesoro inestimabile che ha permesso al grande pubblico di scoprire la vita della ‘bambinaia-fotografa’, nonché un pezzo di lifestyle del ‘900 di grande ispirazione culturale. Il documentario “Alla ricerca di Vivian Maier” realizzato dallo stesso Maloof, racconta in maniera accurata la vita (che in fin dei conti di ordinario aveva ben poco) di questa straordinaria fotografa, provando a tracciarne il carattere e a motivare il perché di determinate scelte.
Nelle sue opere l’attenzione al dettaglio, all’abbigliamento, agli oggetti, alla vita di strada emergono con forza cosi come la necessità di fotografare spesso cose abbandonate, come a voler dare loro nuova vita e nuova funzione. Con estrema umanità, condizione difficile da cogliere, Maier impregna lo scatto del suo sguardo, spesso austero e diretto, sempre vero. Atteggiamenti, volti, momenti quasi colti di sfuggita ma che Maier riesce a fissare sulla pellicola in un attimo di splendente realtà.
Pushed by Luisa Lenzi