Si è conclusa ieri a Milano la settimana dedicata alla moda uomo per il prossimo a/i 2017. Sulle passerelle entra con decisione una riflessione sul contemporaneo. Londra ci aveva lasciati pieni di aspettative, di investimenti sui giovani talenti e di ricerca del percorso individuale. Milano ha spostato dal personalistico al sociale questa indagine proponendo collezioni votate al contemporaneo e alla sua analisi. La moda uomo, per sua stessa identità, sfugge agli artifici e alle indulgenze di cui dispone la moda femminile. Non per questo l’intensità della riflessione è meno potente ed evocativa. Anzi. Dove questa settimana ha gettato i germi di un’analisi della realtà sociale, saranno, il prossimo febbraio, le collezioni femminili a concludere il dibattito.
Nell’epoca del digitale e della narrazione pervasiva, ogni casa di moda racconta – giustamente – il proprio percorso traducendo i codici della sua storia nella visione contemporanea e futuribile (almeno spostata in là di 4-6 mesi, quando queste collezioni entreranno nelle boutique).
Dolce & Gabbana hanno scelto il presente e la frenesia dei media digitali per riflettere sulla speranza e l’importanza delle nuove generazioni. Con la spensieratezza che li contraddistingue, il duo ha selezionato più di 50 giovani nativi digitali, i millenials, star del web a vario titolo, idolo dei giovani d’oggi. I #DGPrinces incarnano il sentimento della contemporaneità, sono un fenomeno che la cultura e la moda non possono ignorare. Spensieratezza e giovinezza non sono attributi che hanno valore di per sè, lo diventano quando si auto-rappresentano come la risposta al presente. Investire sulla moderna aristocrazia del mondo digitale significa investire sulla generazione capace di muovere il mondo e sul progressismo che la contraddistingue. È una dichiarazione che – lungi dall’essere politica – finisce per essere auspicio di fiducia nel presente. Gli abiti riflettono la storia di Dolce&Gabbana: la sartoria, il pijama, le stampe barocche, la filigrana dorata che ricama i cappotti a redingote. Stefano e Domenico si concedono il lusso di qualche divagazione apertamente cartoonistica come nel caso degli zaini a forma d’animale, in autentico peluche. Mettono in rapporto dialogico il passato e il presente, tradizione e rivoluzione (digitale) sotte l’egida di un futuro possibile.
Fendi reinterpreta l’athleisure, trend non nuovissimo ma sempre più sperimentato. Questo show per l’a/i 2017 richiama incessantemente il logo (per esteso) della maison che compare su borse, berretti, fasce da tennista, all’orlo di cappotti. La seta lascia spazio al nylon, la pantofola alla ciabatta con il pelo. È uno show denso, dai colori vividi e pregnanti, un monito psichedelico con cui la casa di moda romana si racconta. “Il ritorno del logo rappresenta cento anni di lavoro, di impegno” con queste parole Silvia Venturini Fendi, anima creativa della maison, sbaraglia qualsiasi dubbio. Performante e atletico, senza sconfessare il know-how della casa di moda, questa collezione rappresenta la voglia di proattività, uno slancio pop verso il futuro in cui, anche qui, spensieratezza e leggerezza sono le vere risposte al presente. Senza dimenticare come queste non neghino spazio alcuno alla riflessione e al pensiero. Think. Pink. Pop.
Chi risponde con un engagement politico più manifesto è invece Prada. Miuccia nel backstage a pochi minuti dallo show anticipa “non aspettatevi grandi cose, … avverto la necessità di parlare di umanità, di semplicità, di modestia”. Più che necessità, la sua, sembra una vera e propria urgenza; con sguardo volto al passato, alle contestazioni giovanili degli anni ’70, addirittura all’abitudine tutta hippy di indossare collane di conchiglie e altre cianfrusaglie. La ricorrenza del marrone, l’uso del velluto abbinato alla pelle ancorano la moda uomo di Prada al presente. Lo invitano ad agire nel presente. Come sempre l’estetica del brutto ricorre, spuntano così il girocollo con le margherite, i paesaggi da quadretto di quart’ordine, il maglione che sembra fatto a mano, le cinture in cavallino (tanto di moda all’inizio del nuovo millennio). Questo che suona come un apparente slancio o manifesto dell’understatement è in realtà la dichiarazione della Signora contro l’establishment (e non si fatica a rintracciare in questo una presa di distanza dall’edonismo di cui il neo eletto presidente americano Trump è ambasciatore). Nel prologo ideale di questa collezione per il prossimo inverno vi sono tutte le migliori intenzioni, tuttavia la collezione perde di efficacia nel suo svolgimento. La reiterazione del tema incupisce gli esiti. Ma questo è un assunto tipicamente pradiano: incendiare la discussione, sottraendosi alla risposta.
Figlio della scuola di cui sopra, Francesco Risso (ex-Prada) debutta con la sua prima collezione per Marni dopo il recente addio alla moda della storica designer e fondatrice Consuelo Castiglioni. Dove il citazionismo al suo passato di designer sembra prendere eccesivamente piede, Risso contrattacca discostandosi da quella tendenza alla riflessione sociale e insistendo piuttosto – come visto a Londra – sulla naïveté e la fanciullezza, sulla ricerca del sè ideale e gli sforzi che questo comporta. Sotto questa luce scendono in passerella i pantaloni abbondanti strizzati alla vita da cinture dall’aria consunta, o cinturoni da lavoro che si fanno orpello, così come le toppe in ecopelliccia sulle giacche e i turbanti DIY. La cifra stilistica non è ancora chiara fino in fondo, tuttavia le premesse in questa prova con la moda uomo sono incoraggianti, dipingono un designer capace di assumersi il rischio e l’onere di scrivere il nuovo capitolo della saga Marni.
Pushed by Martino Carrera