I designer britannici per il prossimo a/i 2017 mandano sulle passerelle di LFW una vera e propria call to action, un invito all’impegno rivolto ai giovani. Un monito a rivendicare la propria giovinezza come valore aggiunto, elevando la gioventù ad alfiere della rivoluzione.
“Style Odyssey” è l’espressione utilizzata da JW Anderson per descrivere la sua collezione; in un continuum che rimanda alla proposta fatta per l’uomo lo scorso gennaio (qui la nostra review), lo stilista parte dall’idea di giovinezza, quando gli abiti sono indistinti e omologati. Non parla della gioventù bruciata che ha fatto dell’abito un vessillo, parla piuttosto dell’innocenza e propone un viaggio. Un’odissea nella quale il risultato finale è la scoperta di sè che si materializza per sovrapposizione. Ogni look è identico al precedente, aggiunge un dettaglio, si arricchisce di una consapevolezza: che siano le piume, le stampe o la maglia metallica. O tutte le cose insieme. L’impressione complessiva, infatti, è che questa collezione andrebbe vista come una sovrapposizione in trasparenza delle 34 uscite. Solo così, nell’insieme, si potrebbe davvero comprendere il messaggio. JW Anderson, che ha lungamente sperimentato soluzioni ardite, concettuali e al limite del decifrabile, conserva questa cifra ma propone un guardaroba indossabile, spogliato di orpelli narrativi, arricchito semmai di dettagli che raccontano il percorso di formazione. Una ragazza bruna, con i capelli raccolti in una cosa bassa, che si confronta con il mondo stratificato sui suoi abiti, sulla strada verso casa, verso l’età adulta. On the road.
Simone Rocha è senza dubbio il nome più accattivante della LFW; rientrata da New York, dove ha inaugurato il suo secondo flagship store (che segue quello di Londra), presenta per il prossimo a/i 2017 una vera e propria chiamata alle armi. Fin dal primo look, ritorna con insistenza un’armatura in pelle da indossare sopra ai cappotti, alle camiciole, sotto agli abiti midi in organza trasparente. Fa di più: mette generazioni a confronto portando in passerella Jan de Villeneuve al fianco di Mica Arganaraz, come se donne di diverse epoche fossero chiamate a dialogare, le une della memoria, le altre del presente, forse del futuro. I volumi sono ancora una volta esagerati, rococò, di stampo vittoriano e i tessuti dialogano per contrapposizione tra la rigidità del fustagno e la leggerezza dell’organza. Un invito a scendere in strada, una chiamata a rivendicare il diritto alla felicità di questa generazione, con tanto di sandali arricchiti di pelliccia che ancorano al suolo la donna di Simone Rocha. Tutto investito e ingentilito dai dettagli floreali: un bagliore riscaldante; la freddezza dello scontro trasversale e intergenerazionale contro il presente si fa delicata: la poesia, la gentilezza e il dialogo di donne diverse, fianco a fianco, in trincea, per le strade, sarà salvifico.
Aneddotica è l’ispirazione di Christopher Bailey per Burberry; la storica maison londinese al suo secondo appuntamento con una collezione che unisce uomo e donna esplorando il territorio del see-now-buy-now (la collezione è in vendita già da ieri), trae ispirazione dall’opera artistica di Henry Moore. Bailey, nato e cresciuto a pochi passi dallo Yorkshire Sculpture Park, ricorda di aver subito fin da piccolissimo la fascinazione per le sculture di questo celebre artista britannico. Maestro dei volumi e delle proporzioni innaturali ma vibranti, è proprio in questo che Moore suggerisce un valido argomento alla collezione a/i 2017 di Burberry. Come le statue, anche gli abiti assumono tratti asimmetrici e volumi arditi; le maniche si allungano, le spalle si ispessiscono, le mantelle incorniciano il volto. Sono le lunghezze dei minidress o le organze che lasciano intravedere le gambe a riportarci al presente. Il bianco essenziale, che è il non colore che domina l’intero défilé, esalta la costruzione, i ricami e abbaglia il pubblico. Bailey definisce questa collezione defiant, una sfida: le ispirazioni artistiche si assestano sempre su terreni perigliosi, tanto più se il racconto muove dal vissuto personale (in questo caso sono i ricordi di gioventù); è una sfida anche quella di proporre un nuovo modello produttivo che annulla l’attesa fra lo show e la possibilità di acquistare i capi. Non solo, qui l’azzardo è ulteriore: le cappe e le mantelle che chiudono la sfilata sono pezzi demi-couture disponibili solo su ordinazione. In tutto questo sta la grandezza di Bailey che, per Burberry, immagina di poter scardinare le regole, raccontarsi e raccontare la tradizione di un marchio con la spinta dell’innovazione a tutto campo. L’incoscienza della giovinezza riemerge come ricordo e diventa sfida al presente.
Dalla strada al club. Londra è la città europea che più di ogni altra porta con sé, nella sua memoria e anche nel suo presente, l’energia della club-culture. In apertura di LFW un marchio decisamente nuovo propone una collezione gioiosa, esagerata, dissonante e piena di speranza. Halpern Studio è un brand che ha fatto la sua comparsa per la prima volta sulle passerelle londinesi lo scorso febbraio. Dopo un solo anno ha già catalizzato l’interesse dei più importanti templi del lusso, da Browns a Bergdorf Goodman. Che Michael Halpern, newyorkese di 29 anni, diplomatosi alla Central Saint Martins, intercetti il gusto di una nicchia di consumatori è certamente vero. Eppure nel dialogo sulla contemporaneità che Londra ha portato in scena per il prossimo a/i 2017 è sicuramente una stella, tanto abbagliante quanto le incrostazioni di paillettes dei suoi capi. Disco inferno è la più ricorsiva delle definizioni con la quale potersi riferire a questa collezione. Halpern Studio trae ispirazione dagli anni ’70, dalla cultura nata nei club ai due lati dell’atlantico, quando un paio di flare pants – svasati e morbidi – erano davvero simbolo di freschezza, di gioia e di giovinezza. Come a dire che quando la società e la politica si fanno cupe, la moda possa e debba rispondere ritagliandosi uno spazio di rottura. La club-culture, per altro, non è mai stata solo evasività; al contrario è stata ammiraglia di inclusività e di apertura. Nel buio delle strade del mondo, di notte, fra gli edifici post industriali di Shoreditch o di Dalston, del Lower East Side o di Berlino est una luce brillerà al ritmo di ricami e pellicce dai colori sgargianti. La luce di Michael Halpern.
Pushed by Martino Carrera