Dallo scorso sabato, e fino al 18 Giugno, il museo Hepworth Wakefield ospita Disobedient Bodies, una mostra curata personalmente dallo stilista irlandese JW Anderson in collaborazione con Andrew Bonacina, curatore capo del tempio dell’arte contemporanea, situato nello Yorkshire, contea settentrionale dell’Inghilterra.
Nasce dal desiderio di esplorare il rapporto tra creazione e forma attraverso l’accostamento ardito di opere d’arte, di design, di moda, sculture e videoinstallazioni. La mostra racconta anzitutto il rapporto che designer e creatori d’arte hanno avuto con il corpo, con la ricerca delle forme e dei volumi e con la loro evoluzione nel XX e XXI secolo.
Le sculture di Henry Moore – recentemente fonte di ispirazione per la collezione a/i 2017 di Burberry – si accostano all’iconico abito a corsetto di Jean Paul Gaultier. Noto a tutti fin da quando nel 1990 Madonna lo portò sul palco del suo Blonde Ambition Tour, questo abito viene completamente riconfigurato. Adagiato su un tavolo, in posizione reclinata, così come le opere di Moore, sembra perdere quella connotazione di abito iconico ed assumere una nozione più umana, decontestualizzata e quindi nuova. Certamente le scelte curatoriali incidono sulla possibilità di trovare nelle due opere un comune orizzonte di indagine, ma osservando scultura e abito insieme, appare evidente quanto le due forme espressive siano manifestazione del medesimo intuito creativo.
Lo stesso succede ad alcune creazioni in neoprene nero dello stesso JW Anderson che dialogano con le opere in ceramica di Sara Flynn. La ceramista irlandese è un’autentica passione del designer che non ha mai nascosto quanto la sua fervente immaginazione sia in grado di superare limiti e ostacoli. Traendo dall’ispirazione le leggi di costruzione di un abito, egli è in grado di infondere in esso nuova linfa, trasfigurandolo. Nel suo stesso processo creativo, come stilista, Anderson ha più volte attinto all’impossibile, mettendo in rapporto dialogico realtà apparentemente inconciliabili.
Proprio in questo sta la grandezza di questa mostra; il risultato infatti supera gli obiettivi proposti ponendo una domanda sulla quale la diatriba è da sempre insistente: può la moda essere considerata una forma d’arte?
Disobedient Bodies non fornisce una risposta puntuale ma certamente ci invita a riflettere sul tema insinuando dubbi e fornendo alcune evidenze. Anzitutto racconta con chiarezza come “oltrepassare i limiti della creatività” superando la contrapposizione tra arte e moda. Mondi che in fondo hanno una sola ambizione: quella di fornire un lume per gettare chiarezza sul senso della vita e del mondo che ci circonda.
Entrando nella sala in cui sono sospesi 28 capi di maglieria dalle maniche allungate come fossero drappi, la sensazione che Disobedient Bodies stia fornendo una risposta a questa annosa questione appare evidente. Non più moda, non ancora arte, forse entrambe le cose. Il designer ha candidamente confessato di aver completamente ribaltato la propria prospettiva sul tema nei due anni di lavoro a questo progetto. E sebbene non sia universale, questa risposta è certamente un’ottima provocazione.
Pushed by Martino Carrera