Con risultati diversi, le collezioni di questa settimana della moda milanese per la prossima f/w 2017 hanno in qualche modo declinato una rivoluzione Made in Italy, fornendo risposte, ponendo domande. Soprattutto interrogandosi nel profondo sul senso della contemporaneità, sulle contraddizioni che la animano e rintracciando sempre una soluzione inaspettata, che passa attraverso gli abiti per diventare pensiero.
Una teca in vetro, come fosse una serra, sospesa in uno spazio-tempo indefiniti. È il giardino segreto di Alessandro Michele per Gucci. La prima collezione che unifica uomo e donna, per la f/w 2017, è come un percorso nella mente labirintica del suo creatore. Un non-luogo dove prendono vita dialoghi impossibili tra ispirazioni e riferimenti. Esito di queste conversazioni ardite è la rappresentazione dell’alchemica forza degli abiti. La capacità di scandagliare ossessioni, paure, inquietudini e trasformarle in segno di speranza. Qualcuno dirà che i temi, gli orpelli, le decorazioni, il bestiario, la botanica da manuale, lo scintillio decadente comincino ad essere dejà-vù. Certo l’estetica è talmente forte e precisa che l’eterno ritorno dell’identico è un rischio plausibile. Eppure ad osservare la sfilata che procede, scandita da una litania da brivido, ci si accorge che la contaminazione è davvero tutto quello che vibra nelle corde di Alessandro Michele. L’attesa di un climax stilistico è costantemente smentita, ogni uscita è identica solo a se stessa. Ogni look è come il singolo pezzo della collezione di un umanista che guarda al passato con fame ossessiva di conoscenza.
L’umanesimo di Gucci lascia spazio al nuovo rinascimento di Dolce&Gabbana. Il duo di designer per la f/w 2017 interpreta con maestria, attraverso la passerella, la rivoluzione mediatica in atto che “ha bisogno innanzitutto di qualcuno che l’ascolti e la capisca prima di essere criticata a priori”. Il digitale è reale: lo spazio online sta riconfigurando anche e soprattutto quello offline. Domenico e Stefano certamente non hanno la pretesa di riscrivere la realtà così come fece il rinascimento fiorentino. Altrettanto però, in questo show hanno profuso uno sforzo unico nel panorama della moda, scardinando le sue regole. La pedana è calcata dai millenials, giovani ragazzi talentuosi, dalle loro famiglie, dalle insta-girls con le loro madri, dagli amici storici del brand (Tabitha Simmons e Coco Brandolini D’Adda su tutte). L’esuberanza di tutte queste personalità insieme è riassunta dai sorrisi raggianti di questi modelli improvvisati. L’energia che si respira è travolgente. Ciascuno dei look veste persone reali e star del mondo digitale. Ogni abito è costruito intorno alla persona e al personaggio, senza soluzione di continuità. In questo si ravvede un’attitudine quasi couture, i capi sono cuciti addosso a chi li indossa. Per questo troviamo davvero di tutto: le corone che proclamano Kings&Quees, l’animalier dalle lunghezzi midi, il broccato floreale, i jeans ricamati, l’abito sottoveste. Dolce&Gabbana svuotano le tasche della creatività, rappresentando attraverso i propri stilemi l’individualità del singolo. Lo sforzo di comprensione ma soprattutto il coraggio di appassionarsi alla contemporaneità, alla rivoluzione del presente, all’entusiasmo di questo rinascimento 2.0 meritano un plauso.
Entra in dialogo con il presente anche Missoni, portando in passerella una delle sue collezioni più belle. Tutto parte dalla chiusura dello show quando le modelle scendono in passerella per il finale indossando un berretto in lana rosa (lo stesso che viene omaggiato agli invitati), accompagnate dalla famiglia al completo, le donne in prima linea. Rosita, Margherita, Teresa e Angela, la designer, che impressiona il pubblico con un proclama con il quale invita il fashion system ad unirsi alla famiglia, a deporre paure e timori in nome dell’integrazione, dell’accettazione, dell’unità. Questo monito passa anche attraverso gli abiti per la f/w 2017 sui quali ricorre tutto il simbolismo di decenni di lotta per i diritti umani: dal triangolo rosa rovesciato degli attivisti per la lotta all’AIDS, ai piccoli cuori strategicamente posizionati ad evocare il movimento free-the-nipple, passando per la women’s march e il pussy power. Per questo show anche i codici cari alla maison vengono ampiamente riscritti. Non manca il focus assoluto sulla maglieria che tuttavia si tinge di colorazioni inusuali e si intarsia a formare motivi geometrici che vanno ben oltre il classico zig-zag. É un invito politico: tre generazioni di donne Missoni simbolo della femminilità come valore da spendere sul campo della lotta per i diritti umani.
Insiste sulla nozione di femminilità anche Miuccia Prada, che rifugge, come solo lei sa fare, dal rischio di essere didascalica. Ritroviamo una ripetizione manieristica di tutto quello che abbiamo già visto nelle collezioni più recenti: le piume, i cristalli, le decorazioni vezzose, gli abiti tagliati in sbieco a cui fanno da contraltare i maglioni in lana pesante dalle forme sbagliate e la pelliccia acidificata da colori improbabili. Eppure questa collezione brilla di una luce nuova, che mancava da qualche stagioni sulle passerelle di Prada. É tutto noto, eppure tutto nuovo. La sensualità è un territorio che la Signora conosce molto bene, sul quale si batte da tempo, quasi fosse un’attivista. Questa collezione scardina tutto quello che crediamo di sapere in materia. Prada dipinge una donna libera dagli stereotipi, che gioca a burlarsi proprio di questi. La prossima f/w 2017 celebra la femminilità ponendosi una domanda fondamentale: perché alle donne non è concesso sottrarsi al cliché ed essere finalmente quel che sono. Lo sforzo è immenso perchè questa domanda lascia spazio ad altrettante, addirittura più contingenti e pungenti. Con sana snoberia Miuccia decide di non fornire risposte, solo uno strumento per comprendere il presente. La comprensione è un fatto cerebrale e la seduzione, in casa Prada, anche.
Chi ha saputo inondare di poesia il contemporaneo sono stati Antonio Marras e Stella Jean. Con approcci diversi, le loro presentazioni per la prossima f/w 2017 sono state vere e proprie performance, intime e ragionate. Da Antonio Marras una lezione di teatro-danza, animata da disturbatori che scivolano a ritmo di tango tra le uscite sulla passerella. Prende a prestito dai libri di botanica le decorazioni che arricchiscono abiti a tunica, parka, camiciole, sottovesti ricamate. Tutte sovrapposte in un pastiche tipico di Marras che ha il sapore della poesia e la freschezza delle piante che le modelle portano in passerella. Il campione umano è rappresentato in senso transgenerazionale, perchè il dialogo tra anime diverse possa essere veicolo di inclusività.
Un segno di unità che ritroviamo anche da Stella Jean, la designer Creola, che per il prossimo inverno si avventura su un territorio difficile. Ritrovare nel presente le contraddizioni della Guerra Fredda, offrendo, forse, una soluzione. Troviamo così i gradi militari appuntati alle camicie e alle giacche che fanno a botte con il copricapo russo a fazzoletto e con le stampe naïf dei fiabeschi siberiani. Ad animare questo mix&match la performance di un gruppo di musicisti che incarnano l’incontro tra culture. La musica dal vivo, che accosta strumenti insoliti, rende esplicito il claim “One, No One and One Hundred Thousand Kilometres” che campeggia sulle t-shirt: un invito a muovere dall’individualismo, non per annullarsi ma per percorrere la strada verso l’unità e la condivisione di un mondo di cui siamo tutti, indistintamente, figli. Hallelujah!
Pushed by Martino Carrera