In “Ballad of Sexual Dependency”, Nan Golding fotografa la quotidiana trasgressione della New York anni ’80.
“Ballad of Sexual Dependency” è un’esperienza immersiva, al limite del voyeurismo, in cui vita e arte si compenetrano, l’una alimentando l’altra. L’opera più celebre della fotografa statunitense Nan Golding (1953), curata da François Hébel, è la prima mostra-evento promossa dal Museo di Fotografia Contemporanea presso La Triennale di Milano, fino 26 novembre. Un work in progress avviato agli inizi degli anni Ottanta e poi continuamente ampliato e aggiornato, che viene oggi riconosciuto tra i capolavori della storia della fotografia.
Si tratta di circa 700 diapositive, scattate soprattutto negli anni ‘80, che raccontano la vita dell’artista e dei suoi amici della bohéme newyorkese. A ciascun tema trattato (l’amore, la droga, la sofferenza, ma anche le gite fuori porta, la maternità e la vita notturna) fa da sottofondo una colonna sonora che spazia dai Velvet Underground all’opera lirica.
Non ci sono filtri, tutto è mostrato esattamente com’è, compleanni e funerali, eroina e sesso. E qui risiede la potenza dell’opera, ciò che a decenni di distanza rende ancora magnetiche queste rappresentazioni di una downtown americana ormai in gran parte estinta: il suo essere brutalmente reale.
Alla fine dei 42 minuti di video si vorrebbero indagare le storie di quei volti, una ad una. Sono ritratti realistici, impudici e a tratti spietati, che pur mostrando molto non svelano troppo allo spettatore. Destano semmai i suoi interrogativi, pungolando una curiosità che si pone in equilibrio fra l’umana pietas e l’attrazione morbosa.
Album di famiglia e commemorazione funebre allo stesso tempo – molti protagonisti della “Ballad” sono morti negli anni a seguire a causa dell’AIDS – quest’opera è il manifesto di uno stile unico, di un modo di guardare la realtà attraverso l’obiettivo che ha ispirato molti fotografi negli anni a venire, proprio a causa di ciò per cui era stata inizialmente criticata: ritrarre nientemeno che la “normalità”. Il che rimane, forse, uno degli obiettivi più nobili e complessi dell’arte.
Pushed by Gloria Presotto