Un emerito quotidiano americano ha suscitato non poche polemiche pubblicando un articolo che titolava “Does Milan Matter?”. Le polemiche, si sa, sono spesso il sale della stampa. Tuttavia questa domanda, retorica nelle intenzioni, faziosa nella risposta, apre una questione di particolare rilievo.
Nel mondo della comunicazione e della moda globalizzata, quale senso ha il pregiudizio campanilistico?
Certamente la stampa d’oltre oceano deve sostenere gli interessi della propria industria (nella fattispecie di quella della moda). Tuttavia non è intenzione di chi scrive entrare nel tessuto della questione, tanto più che la posizione è chiara, ed è stata espressa nelle nostre Pills of MFW PE 2018. Poiché, tuttavia, la moda globale è terreno di innovazione, di discussione e di apertura ad ogni latitudine, uno sguardo al di là dei confini nazionali è d’obbligo.
Do NYFW, LFW and PFW Matter?
A New York, le collezioni per la prossima PE 2018 sono andate in scena con più di qualche defezione, tuttavia la forza del CFDA (equivalente della Camera Nazionale della Moda italiana) sta nella capacità di fare squadra. L’esempio più rappresentativo: l’apertura di settimana con Tom Ford e la chiusura con Marc Jacobs. Nel mare magnum di proposte, spesso poco autorevoli e dallo scarso mordente, alcuni brand hanno saputo proporre collezioni interessanti.
È il caso di Tom Ford che ripercorre alcune delle sue cifre più iconiche, esplorate negli anni ’90 e nei primi 2000 da Gucci e Saint Laurent. Un abbaglio di abiti glam, sexy, sfacciati (nella nozione più raffinata del termine), per i quali la palette di colori ingombranti o l’opulenza delle paillettes argentate serve da propulsore di un’estetica già di per sé molto intensa. I cargo pants arrotolati, indossati con il blazer dal revers a lancia pronunciata, insieme ai microtop; gli abiti statuari arricciati ad esaltare la figura, la libertà nell’usare la nappa – color tangerine – per un trench coat tagliato al vivo. Una collezione che è un tributo egoriferito, eppure non nostalgico, nemmeno polveroso, piuttosto moderno, attuale. In questo sta il genio della creazione.
Marc Jacobs in chiusura, con uno show lirico, sublimato dall’assenza di soundtrack. Eco della haute couture degli anni che furono, eco di Yves Saint Laurent, di Diana Ross. Specchio del presente. Le modelle scendono in pedana, il capo avvolto da turbanti e, per la prossima PE 2018, indossano abiti dalle fantasie Africane a colonna, completi maschili dai volumi enfatizzati, track pants e work jackets, la pelliccia sintetica che borda il collo dei giacconi e decora le maxi bags. È uno show che ricorda quel caleidoscopico mondo che è New York, culture e non-culture che hanno definito questa città, così intessuta nelle corde di Marc Jacabos, che – verrebbe da domandarsi – Would New York Matter Without Marc? (Sarebbe rilevante New York senza Marc?)
Londra. PE 2018. Tenere le fila di un racconto sulla moda londinese è quanto mai complicato. Prodotto e produttrice di novità e avanguardia, Londra è ferma in un’empasse, almeno da un paio di stagioni. Le stagioni della moda, e più ancora quelle della creatività, hanno bisogno di cicli consapevoli, verrebbe da dire ecologici. Per questo non è nostro interesse descrivere questo momento come un declino. Londra – la città – è un crocevia di opportunità e tornerà ad esserlo anche nella creatività.
Le collezioni più brillanti per la prossima PE 2018 sono quelle di Burberry e JW Anderson. Christopher Bailey, da Burberry , si misura con la necessità di un riscatto delle vendite e trova una strada, intelligente e consapevole, per infondere nuova linfa all’iconico check del marchio. La recente collaborazione con Gosha Rubchinskiy – che per la sua collezione uomo PE 2018 ha preso a prestito la stampa Burberry – deve avere giocato il ruolo di un’epifania nella sensibilità di Bailey, spingendolo a cogliere il gusto e tenere il passo dell’oggi. La collezione – co-ed uomo e donna – gioca sulla ruvidità sferzante del punk britannico. Le giacche dal gusto militare, la leggerezza degli overcoat trasparenti, la maglieria fair isle, aran e argyle e la ricerca ossessiva di ogni mezzo possibile per celebrare il check usato come fodera dei cappotti, per il cappellino da baseball o per una mantella decostruita dal gusto sartoriale, contribuiscono a definire il senso di questa proposta. È insistentemente street-wise, esageratamente cruda, distante dalla tradizione del marchio pur nutrendosi, principalmente, di quest’ultima.
Cruda, ma con risultati differenti è anche la collezione di JW Anderson.. Il designer ha scelto di perseguire la strada del normcore – come già successo per la sua collezione uomo, presentata a Pitti Immagine lo scorso Giugno. Per la PE 2018 Anderson gioca con le asimmetrie delle gonne portate appena sotto al ginocchio. Non solo lo stile è spogliato di orpelli e sovrastrutture concettuali, ma le forme sembrano davvero crude, non-finite ma soprattutto vive. Il jersey, trattato e tinto in capo, ha l’aspetto della tela di lino degli asciugamani per le stoviglie. Quella ricorrente sensazione che la moda di Anderson sia “local”, e nella fattispecie del Nord dell’Irlanda, viene sparigliata dalla semplice capacità di parlare al consumatore di oggi. Da un parte mosso a vivere in accordo con la frenesia e il caleidoscopio di immagini e sovrapposizione, dall’altra essenzialmente alla ricerca della semplicità come antidoto. «The calm before the storm», dice Anderson, the calm within the storm, diciamo noi.
Dalla LFW a Milano e infine Parigi. Does PFW matter?
La risposta è limpida: It does.
Per la PE 2018, Comme Des Garçons rompe un tabù. Apre un dialogo vivo tra moda e arte, sugli abiti campeggiano le stampe Kawaii e le opere dell’italiano Arcimboldo; si incontrano letteralmente sul tessuto aprendo un confronto che è estetico più che dialettico. Multidimensional Graffiti è il titolo della collezione, nella quale le opere di dieci artisti, dal XVI secolo ad oggi, vengono trattate con gusto celebrativo. A fare da contraltare a questo dialogo possibile sono i volumi. Gli abiti non assecondano le stampe, piuttosto ne valorizzano la qualità artistica, rendendo tridimensionale la tela, cominciando là dove le pennellate e le campiture esauriscono la loro possibilità. Non è la scelta di elevare la moda a forma d’arte, è la moda che si pone al servizio dell’arte. Circa il dibattito tanto accesso – se le due forme di creatività, siano o meno paragonabili – Comme Des Garçons fornisce una risposta. Inaspettata.
To the moon and back. Con questa visione prospettica, nasce la PE 2018 firmata da Pierpaolo Piccioli per Valentino. È uno degli show più attuali e contemporanei visti in tutta la stagione. È anche la storia di un marchio che ha una lunga eredità, molta storia (spesso ingombrante) da raccontare. Piccioli riesce brillantemente a rintracciare il presente con questo suo sforzo creativo. Declinato in tutte le nuances aquerellate del giallo citrino, dell’azzurro, del tortora e con l’opalescenza delle macro e micro paillettes sta un paesaggio lunare, fatto di crateri che sono il luogo dell’opportunità. Osservare il presente, il passato, il rosso Valentino e la contemporanea svolta streetwise della moda. Coesistono il parka ricoperto di paillettes, i cargo pants con la passamaneria, l’abito impero color rubino, gli accessori che strizzano l’occhio al fatturato. Coesistono giorno e sera, occasioni d’uso che hanno perso la loro etichetta e servono piuttosto per definire una visione, che senza distinzione, è intrisa di poesia, di sogno, di nuove prospettive, di nuove visioni. La terra vista dalla luna è sembrata assai più bella a chi la vedeva da quella prospettiva per la prima volta. Questo Valentino è assai più bello di tutto quanto raccontato finora.
Pushed by Martino Carrera