Una Kate Moss in bianco e nero, struccata o quasi, fissa l’obiettivo con sguardo da sfinge e sigaretta tra le dita. Sul suo volto si intravedono delle sottilissime rughe, i capelli sono morbidamente scomposti, la posa frontale è semplice, pura, quasi da icona medioevale. La bellezza della modella inglese emerge scevra da qualsiasi orpello, da ritocchi inutili e ridondanti. Ci attrae con la forza della sua monumentale verità, esaltata dall’assenza di colore.
L’immagine-simbolo della mostra “Peter Lindbergh. A different vision of fashion photography”, a Venaria Reale (TO) fino al 14 febbraio, è un valido exemplum della poetica di quello che è considerato uno dei più grandi fotografi di moda di sempre (l’unico, per dire, ad aver firmato per tre volte il Calendario Pirelli).
Classe 1944, tedesco d’origine, Lindbergh negli anni ’80 riscrisse le regole della fotografia. Lo fece scegliendo un’estetica al naturale, in un periodo dove imperavano il fotoritocco e un’idea di “perfezione” quanto mai artificiosa. In un’intervista del 2014 il fotografo dichiarò infatti: «Dovrebbe essere questa la missione dei fotografi di oggi: liberare le donne, e in ultimo tutti gli esseri umani, dal terrore della giovinezza e della perfezione».
Il suo approccio è stato definito “umanista”, poiché pone al centro degli scatti la personalità dei suoi modelli, che non appaiono perciò semplici declinazioni dell’idea di “bellezza”, ma narrano una storia, la loro storia, attraverso il corpo. Per la prima volta, con Lindbergh, parliamo di story-telling nell’ambito della fotografia di moda.
Inizialmente poco compreso nel mondo patinato del fashion – nel 1988 la celebre foto che ritrae alcune modelle tra cui Linda Evangelista, Tatjana Patitz e Christy Turlington, sulla spiaggia, scompigliate e vestite solo di una camicia maschile, fu scartata da Vogue America – deve la sua consacrazione in questo mondo ad Anna Wintour, che, neo-direttrice della testata, nel 1990 scelse per la copertina di gennaio un ritratto delle allora semi sconosciute Linda Evangelista, Naomi Campbell, Christy Turlington, Tatjana Patit e Cindy Crawford in jeans e semplici top. Un foto che ora probabilmente conosce anche chi non è un appassionato di moda e che battezzò la generazione delle “super modelle”, assurgendo a simbolo di un’epoca.
Ed è proprio con le Supermodel degli anni ’90 che si apre la mostra, una vera e propria raccolta antologica che prosegue con le aree tematiche Couturiers, Zeitgeist, Dance, The Unknown, Darkroom, Silver Screen e Icons. Oltre a Cindy & Co, la retrospettiva accoglie i ritratti dei designer che con Lindbergh hanno collaborato, di icone del mondo del cinema, della musica e dello spettacolo, insieme ad appunti personali, storyboard, polaroid, provini, spezzoni di film, e gigantografie.
Un viaggio nella bellezza e nella storia della fotografia davvero imperdibile.
Pushed by Gloria Presotto