La moda in mostra…
Non è affare recente quello del mondo del moda che si apre al grande pubblico attraverso esibizioni nei musei più titolati del mondo. Il Costume Institute del Metropolitan Museum di New York è stato in questo antesignano proponendo una grande mostra annuale a partire dagli anni ’70 per volontà dell’allora direttrice di Vogue America Diana Vreeland. Da allora ad oggi le mostre tematiche sono fiorite con sempre maggior entusiasmo dei curatori e del pubblico.
Stupisce senza mezzi termini l’interesse di addetti ai lavori e curiosi. Nell’epoca del tutto e subito, dell’immediatezza dei social media, in cui anche la fruizione della cultura (di cui la moda è espressione) sembra incapace di prendersi il tempo di sedimentazione che merita, il grande successo di eventi come questi racconta della voglia di immersività in un universo affascinante come quello della moda.
Ancora pochissimi giorni (fino al 13 novembre ndr) per vedere David Bowie is , mostra concepita dal Victoria&Albert Museum di Londra nel 2013 e da allora in tour per il mondo, che approda al MAMbo di Bologna. La musica e la carriera di David Bowie sono il leitmotiv dell’allestimento, eppure la raccolta dei capi feticcio del Duca Bianco non può che essere l’altro e altrettanto potente metronomo di questa exhibition. La capacità di Bowie di entrare nell’immaginario collettivo come trasformista a tutto tondo, di reinterpretare se stesso e dare nuove prospettive di sguardo sul mondo e sulla cultura popolare, dalla musica al design, alla moda è quanto questa mostra si propone di fare e vi riesce magistralmente.
A testimoniare che la moda, alla stregua delle arti performative, sia un canale preferenziale, rappresentativo e potentissimo di narrazione del presente e dei suoi rivolgimenti arriva la mostra You Say You Want a Revolution? Records and Rebels 1966-1970 in scena fino al 26 febbraio 2017 al Victoria&Albert Museum altra istituzione che, insieme al Costume Institute, è stata nel tempo promotrice di mostre tematiche. In questo caso un periodo storico e non una figura emblematica. Ma la storia si fa emblema di se stessa. La mostra ripercorre gli anni delle contestazioni giovanili, delle università in rivolta, gli anni delle battaglie per i diritti civili. Universalmente hanno rappresentato la transizione verso una modernità che – con le sue debite frizioni – è progenitrice del postmoderno nel quale siamo immersi oggi. La Swinging London, l’emergere di una nuova concezione del buon costume, anche in termini di moda, gli anni di Carnaby Street centro del mondo, di Mary Quant che accorcia le gonne e osa spingersi dove nessuno si era spinto fino ad allora. I capi d’abbigliamento diventano baluardo e iconografia vestimentaria specchio di un’attitudine morale, culturale e politica.
La prossima primavera, con uno sguardo rivolto al passato, dentro agli archivi che hanno fatto la storia disruptive della moda più recente, due grandi retrospettive saranno protagoniste.
Ad Anversa il MOMU celebra a partire dal 31 marzo 2017 Martin Margiela’s Hermès collections. La città, patria di una corrente stilistica che dagli anni ’80 ad oggi, fattasi multiverso, privata di connotazione geografica e temporale è stata ostensiva di una moda radicale, controcorrente, politica nel senso più ideale del termine, omaggia gli anni di Martin Margiela alla direzione creativa di Hermès. Coincidono con la fine degli anni ’90, in un epoca di passaggio, quando l’apertura al nuovo millennio avrebbe segnato il crollo di un sistema arroccato ed auto emarginante che si sarebbe fatto finalmente più democratico. Margiela da Hermès per 12 collezioni soltanto, una scelta insolita, in cui il lusso del marchio francese si è piegato alla visione decostruttivista di un genio; un genio senza volto, lontano dal divismo dei direttori creativi dell’epoca.
La stagione delle mostre di moda, che ha un andamento temporale proprio e che si apre e si chiude con l’annuale exhibition organizzata dal Costume Institute del Metropolitan Museum, vedrà i curatori rivolgersi ad un’altra designer altrettanto significativa fin dagli anni ’80, assolutamente antidiva e altrettanto avant-garde: Rei Kawakubo di Comme des Garcons. 120 capi in esposizione che cercano di riassumere l’universo dirompente di una designer che a partire dalla sua prima collezione, presentata a Parigi nel 1981, ha fatto della sovversività la sua cifra più distintiva. Non innovatrice bensì voce distruttrice di tutto quanto si credeva di sapere in fatto di moda. Moda intesa come quell’armamento vestimentario e di codici che parlano di bellezza, di buon gusto, della dualità pervasiva e inalienabile tra gli opposti: femminile/maschile, passato e presente, est ed ovest.
La ricchezza di queste mostre sta anzitutto nella loro capacità di raccontare un’epoca o un personaggio, oppure un luogo tracciandone i confini culturali, delineandone non tanto la banale profilazione storiografica quanto più la carica rivoluzionaria e dirompente con la quale hanno saputo rappresentarsi. È per questo che oggi, nonostante il sovraffollamento di esperienze digitali, si ha ancora voglia – e bisogno – di momenti in cui la fruizione sia tangibile, in carne ed ossa, tessuto e forma, materia viva.
Pushed by Martino Carrera