Firenze splende, nonostante le temperature soffocanti, e Pitti Uomo 92 ha proposto alcuni show brillanti, con i quali si inaugura la stagione del menswear per la prossima ss18.
JW Anderson used to be. È stato l’enfant prodige della London Fashion Week, è stato il sovversivo che per la fw12 ha mandato in passerella – prima che la nozione di genderless entrasse nel dibattito di costume e culturale – gli uomini in gonnella. Il creativo capace di dare nuova vita a Loewe. Per la ss18 JW Anderson sfila con il suo marchio omonimo nella cornice di Pitti Uomo 92, ospite della manifestazione fiorentina, nei i giardini di Villa La Pietra tra le colline fuori città. JW Anderson era. Oggi si ricopre di una nuova veste. Porta in passerella sé stesso e non le sue fantasticherie. Normcore è la parola più appropriata per definire il look di questo designer in jeans, t-shirt monocolore e converse all-star. Normcore la parola che meglio descrive la sua collezione per la prossima estate. Il suo guardaroba è definito da pochi capi, da poche idee: il jeans – arricchito da dettagli stampati come fosse un gioco di origami – la t-shirt sulla quale fanno capolino stampe dal gusto vintage come il logo Coca-Cola e la firma del designer ed una collaborazione proprio con Converse, per dare nuova linfa alla scarpa icona. Certo non manca il gusto per qualche giustapposizione sbagliata. Nonostante gli sforzi, un designer difficilmente sa rinnegare il suo estro. In definitiva però questa collezione risulta tra le più commerciali e consumer-oriented di cui si abbia memoria. Che è mossa astuta su più fronti: lo è per il contesto (Pitti Uomo è un trade show essenzialmente dedicato al prodotto, senza fronzoli), lo è per il momento storico che il brand sta vivendo, l’immaginario di JW Anderson è ormai definito e delineato con precisione; lo è perché forse è il momento di pensare ad una espansione e una crescita in termini di vendite e appeal sul mercato. I tempi per la ‘normalità’ sono maturi.
Federico Curradi presenta la sua collezione ss18 nel contesto di Pitti Uomo per il progetto Pitti Italics volto a promuovere il talento italiano strappandolo alla kermesse della moda meneghina (lo hanno preceduto, nelle passate edizioni, Lucio Vanotti, Sansovino 6 e Carlo Volpi tra gli altri). Questo giovane e brillante designer, dopo aver lavorato per Cavalli, Scervino e Iceberg, ha lanciato proprio a Pitti nel 2016 la sua linea di ready-to-wear. Nella cornice di Museo Bardini, gli ospiti arginati e contenuti dal nastro bianco a terra, a ridosso delle pareti tappezzate da opere d’arte, sono costretti ad un’esperienza che ribalta le prospettive: non ad osservare i dipinti ma gli abiti, non a debita distanza dalle opere ma parte di esse. La collezione poi trae profonda ispirazione da questo contesto. Lo spirito décontracté e rilassato manda in passerella uomini a piedi nudi, ispirati da “Firenze [e dalle sue] tante anime: l’artigianato, la schiettezza popolare, il romanticismo e la tradizione del calcio in costume. Protagonista, un guerriero romantico che porta in sé l’essenza artistica della nostra città.” I tessuti setosi dei trench, il tailoring rilassato e trasformato veramente in qualcosa d’altro rispetto all’abito formale, la palette cromatica tratta da una cartolina di Ponte Vecchio, dipingono la collezione di Curradi come un vero inno alla disinvoltura d’artista, al suo estro, alla sua innocenza. Ed emettono un monito di vera eleganza ai cosiddetti “pitti peacocks” che di questa eleganza poco o nulla si immaginano.
Virgil Abloh – l’irriverente club-kid-turned-designer di Off-White – ha sfilato con la sua collezione uomo per la primavera estate 2018 nella cornice di Pitti Uomo 92. Ospitata dal piazzale antistante Palazzo Pitti e sostenuta da un poetico mapping alle pareti sulle quali campeggiavano le parole di Jenny Holzer, artista Americano che ha tratto ispirazione dalla guerra in Syria, la sfilata si muove esplorando territori inusuali per Off-White pur utilizzando il codice espressivo caro al marchio. Trattandosi di Pitti, anche Abloh ha voluto tentare la via del tailoring, benchè decostruito tanto da ricordare un capo di activewear più che un abito formale. L’attitudine streetwise continua ad essere dunque il vero focus anche di questa collezione concentrate su volumi generosi, materiali inconsueti, denim grattato e nylon leggerissimi, per un viaggiatore contemporaneo. Il tentativo di raccontare il presente convince solo perchè capace di cogliere lo zeitgeist del momento, tuttavia serve uno sforzo maggiore perchè il lavoro di Abloh possa davvero assestarsi sugli stessi orizzonti dell’artista che gli ha fatto da scenario (Jenny Holzer), forse rubandogli la scena.
E a Londra cosa rimane?
La LFW: Collection Men per la ss18 si assesta su tutt’altro orizzonte. Perso l’enfant prodige (leggasi JW Anderson) e dopo la dipartita di Burberry (che dallo scorso anno ha scelto la formula del co-ed show a settembre e febbraio, saltando la tornata maschile), si ritrova a dover puntare sul talento dei giovani. Sulla creatività che contraddistingue questa città così metropolitana da essere insuperabile sul suolo Europeo (Brexit permettendo). Ebbene le collezioni hanno il gusto dell’ardito. Eppure Londra sembra aver perso lo smalto delle prime edizioni di LFW: Collection Men.
Craig Green porta gli Uccelli del Paradiso sulla passerella, in tensione perfetta tra la carne che si mostra e l’anima che si eleva immersa nelle tinte sgargianti dei look con cappuccio che chiudono lo show.
Bobby Abley non può fare a meno di usare la passerella come un foglio bianco sul quale il suo ‘inner child’ da libero sfogo alla propria creatività. Gli anni ’90, più precisamente il 1997 fanno capolino e sono l’occasione per festeggiare il 20° compleanno dei Teletubbies – Po, il teletubbies verde, più giovane e più basso, fa addirittura la sua comparsa sulla passerella. Nella scanzonata confusione del lavoro di questo designer emergono con determinazione almeno due costanti: la qualità dei capi che sottrae ad ogni deriva costumistica il suo lavoro e la gioia del suo mestiere. Bobby Abley gioca, terribilmente sul serio.
La deriva ‘costumistica’ è invece molto evidente sulla passerella di Edward Crutchley. Nella sua connotazione più positiva: la collezione per la ss18 dimostra infatti come un tema possa essere il germe per un’infinita varietà di declinazioni. Come nello stesso abito – anche maschile – stiano racchiuse le possibilità di raccontarsi a più livelli. Per questo le stampe floreali o geometriche sono l’eccesso di una gonna-pantalone indossata a torso nudo ma anche la freschezza di una camicia dal colletto ’70s che infonde di contrasto e vigore un abito decostruito dai toni pastello. É la moda che sa essere costume e storia e anche ‘semplicemente’ abito.
Pushed by Martino Carrera